A cura di Teresa Cofano
Con una recentissima sentenza (n. 26901 del 20 settembre 2023) la Corte di Cassazione ha affermato il principio per il quale il potere di riduzione della penale, esercitabile d’ufficio, non è impedito dall’accordo delle parti circa l’irriducibilità della penale stessa, né dalla circostanza che le parti abbiano definito equa la penale: queste circostanze non vincolano il Giudice.
La pronuncia è interessante e, per certi versi, innovativa. In precedenza, infatti, la Corte di legittimità – premesso che la clausola penale è una forma concordata di liquidazione anticipata del danno, dovuto in caso di inadempimento indipendentemente dalla prova dell’esistenza dello stesso, salva la prova liberatoria da parte del debitore della non prevedibilità del danno e che il potere di riduzione ad equità, attribuito d’ufficio al giudice dall’art. 1384 c.c. è posto a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento al fine di ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela – ha pur sempre precisato che ‘Il potere del giudice di ridurre l’importo della penale prevista in un contratto, ex art. 1384 cod civ., può essere esercitato solo se la parte obbligata al pagamento abbia correttamente allegato e provato i fatti dai quali risulti l’eccessività della penale stessa’ (ved. Cass., Sez. 3, sent. n. 22747 del 04.10.2013;, Cass., Sez. 2, ord. n. 34021 del 19.12.2019). Nella sentenza n. 26901/2023, invece, i “correttivi” enucleati nelle precedenti sentenze non sono menzionati e ciò sembra aprire una nuova linea interpretativa dei poteri del giudice (ex artt. 112 e seguenti c.p.c.) e dell’autonomia contrattuale delle parti (art. 1322 c.c.) in senso “iperpubblicistico”.