A cura di Marina Olgiati
Il Decreto Lavoro 2023, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 1° maggio, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 maggio ed in vigore dal 5 maggio (D.L. n. 48/2023), contiene diverse novità, con l’obiettivo dichiarato di favorire l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro. Non mancano, peraltro, misure volte a favorire le fasce reddituali più deboli ed interventi su istituti giuslavoristici con lo scopo, da un lato, di rendere più semplice e flessibile per le imprese la gestione del rapporto di lavoro e, dall’altro lato, di rafforzare gli obblighi in tema di sicurezza. Queste le principali misure.
MISURE DI INCLUSIONE SOCIALE E LAVORATIVA
Per contrastare la povertà, la fragilità e l’esclusione sociale, viene introdotto l’assegno di inclusione (artt. 1 – 8), che sostituisce definitivamente il reddito di cittadinanza, a partire dal 1° gennaio 2024. Si tratta di un sostegno economico di cui potranno usufruire i nuclei con disabili, minori e over 60. L’importo erogabile è stabilito fino a 6.000 euro l’anno, oltre ad un contributo per le locazioni regolari fino a 3.360 euro l’anno. Se i componenti del nucleo sono tutti di età pari o superiori a 67 anni o disabili gravi l’importo annuo sale a 7.560 euro, oltre a un contributo per l’affitto fino a 1.800 euro. Il beneficio viene erogato mensilmente per 18 mesi; dopo un mese di sospensione, la misura può essere rinnovata per periodi di ulteriori 12 mesi.
La concessione dell’Assegno di inclusione è subordinata al possesso di specifici requisiti di cittadinanza, di residenza e di soggiorno e il richiedente deve dimostrare di trovarsi in determinate condizioni economiche (livello di ISEE e reddito familiare). Non ha diritto all’Assegno – o decade dal beneficio – chi sia sottoposto a misura cautelare, a misure di prevenzione, o abbia riportato sentenze definitive di condanna (anche a seguito di patteggiamento ex art. 444 c.p.p.) nei dieci anni precedenti; neppure spetta l’assegno se un componente del nucleo familiare si sia volontariamente dimesso e risulti disoccupato nei 12 mesi successivi alla data delle dimissioni, escluse le dimissioni per giusta causa e le risoluzioni consensuali sottoscritte in sede di procedura art. 7, L. n. 604/1966. I beneficiari della misura non attivabili al lavoro sono tenuti a presentarsi, con cadenza trimestrale, presso i patronati o i servizi sociali e i centri per l’impiego, al fine di aggiornare la propria posizione; i beneficiari attivabili al lavoro, di età compresa tra i 18 e i 59 anni, dovranno, invece, seguire percorsi personalizzati di inserimento sociale e al lavoro. L’assegno è sospeso se i beneficiari tenuti ai predetti obblighi non adempiono. La perdita dell’Assegno consegue anche alla mancata accettazione di un’offerta di lavoro, come definita all’art. 9 del Decreto, ovvero ad una proposta che: i) riguardi un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza limiti di distanza, su tutto il territorio nazionale; ii) attenga ad un impiego a tempo pieno o a tempo parziale non inferiore al 60% dell’orario a tempo pieno; iii) preveda una retribuzione non inferiore ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi; iv) si riferisca ad un contratto di lavoro a tempo determinato, anche in somministrazione, purché il luogo di lavoro non disti più di 80 km dal domicilio. Se l’offerta di lavoro non accettata riguarda un rapporto di lavoro della durata da uno a sei mesi, l’assegno è sospeso per la durata del medesimo rapporto di lavoro (art. 9).
L’attività ispettiva sulla sussistenza delle condizioni che danno diritto all’Assegno di inclusione e che, eventualmente, determinano la sua decadenza, è demandata all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, all’Inps e alla Guardia di finanza. Per dichiarazioni o documenti falsi o attestanti circostanze non vere, scatta la reclusione da 2 a 6 anni; la reclusione da 1 a 3 anni è, invece, prevista per la mancata comunicazione delle variazioni di reddito e del patrimonio (art. 8).
Incentivi per chi assume i beneficiari dell’assegno di inclusione
Sono stabiliti incentivi per i datori di lavoro che assumono i titolati di assegno di inclusione (art. 10). Infatti, ai datori di lavoro che inseriscono l’offerta di lavoro nel sistema SIIL (Servizio Integrato di Inserimento Lavorativo) e che assumono beneficiari dell’assegno di inclusione con rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, pieno o parziale, o anche mediante contratto di apprendistato, è riconosciuto, per un periodo massimo di 12 mesi, l’esonero dal versamento del 100% dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro – esclusi i premi e i contributi dovuti all’INAIL – nel limite massimo di importo pari a 8.000 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile. I contributi risparmiati devono essere versati, maggiorati delle sanzioni civili, se il datore licenzi il lavoratore nei 24 mesi successivi, a meno di sussistenza di giusta causa o giustificato motivo. Se l’assunzione avviene a tempo determinato o stagionale, a tempo pieno o parziale, l’esonero contributivo è riconosciuto nella misura del 50% con il massimale annuo di 4.000 euro e per un periodo non superiore a 12 mesi e, comunque, non oltre la durata del rapporto. L’esonero è riconosciuto anche per il caso di trasformazione a tempo indeterminato del contratto a termine nel limite massimo di 24 mesi, nel quale devono includersi i periodi di esonero contributivo usufruiti mentre era in corso il rapporto a termine.
Supporto per la formazione ed il lavoro
In accompagnamento all’assegno di inclusione e con l’obiettivo di garantire, il più possibile, l’“occupazione”, quale misura attiva per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro delle persone che sono a rischio di esclusione sociale e lavorativa, dal 1° settembre 2023 entrerà in vigore il Supporto per la formazione ed il lavoro, che prevede la partecipazione a progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di orientamento, di accompagnamento al lavoro e di politiche attive del lavoro comunque denominate (rientrano in tali misure anche il servizio civile ed i lavori socialmente utili). Possono usufruire di tali opportunità le persone di età compresa tra i 18 e i 59 anni che non abbiano i requisiti per avere l’assegno di inclusione e un valore ISEE inferiore a 6.000 euro annui. Possono avvalersi dello strumento anche i componenti del nucleo familiare che percepisce l’assegno di inclusione, ma a specifiche condizioni. Coloro che partecipano ai programmi formativi hanno diritto ad un beneficio economico pari ad un importo mensile di euro 350, erogato mensilmente dall’INPS, per un periodo non superiore a 12 mesi (art. 12).
MISURE PER UNA GESTIONE PIU’ FLESSIBILE E SEMPLIFICATA DEL RAPPORTO DI LAVORO
Nel perseguire l’obiettivo di garantire maggiore flessibilità per le imprese, viene parzialmente modificata la disciplina del contratto a termine: ferma l’acausalità del contratto per i primi 12 mesi, le causali che potranno giustificare la prosecuzione del contratto a termine sono riconducibili a tre categorie:
1) ipotesi individuate dai contratti collettivi, da intendersi riferiti ai contratti collettivi di qualsiasi livello (nazionale, territoriale, aziendale);
2) in assenza di previsioni della contrattazione collettiva, e, comunque, entro il 30 aprile 2024, per esigenze tecniche, organizzative e produttive, individuate dalle parti;
3) per esigenze sostitutive di lavoratori assenti (art. 24).
Vengono, dunque, abrogate e sostituite le causali – di fatto inapplicabili ed inapplicate – introdotte dal Decreto Dignità (D.L. n. 87/2018, convertito nella L. n. 96/2028) e costituite da “A) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività” e “B) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria”; viene, invece, mantenuta la causale sostitutiva e l’ipotesi del ricorso a causali previste dai contratti collettivi, introdotta in fase emergenziale dall’articolo 41-bis del D.L. 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni nella Legge 23 luglio 2021, n. 106, che ha aggiunto la lettera b bis) all’art. 19 del D. Lgs. n. 81/2015.
La novità è, dunque, costituita dalla causale sub ii), che – come detto – è valevole per un periodo limitato.
Pare di comprendere che, nel suo intervento, il legislatore si sia preoccupato di prevenire abusi del contratto, attraverso la previsione di causali di fonte collettiva. Peraltro, poiché molti contratti collettivi non hanno ancora provveduto ad individuare causali specifiche, in attuazione della delega di cui al D. L. n. 73/2021 menzionato, nelle more e nel limite di un anno dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni viene affidata ad un patto individuale la possibilità di proseguire il contratto a termine oltre i 12 mesi attraverso l’individuazione “condivisa” delle ragioni giustificative. Dopo il 30 aprile 2024 varranno, pertanto, solo le causali previste nei contratti collettivi o, in assenza, la causale ex lege unica possibile, ovvero quella “sostitutiva”, pur sempre nel limite di 24 mesi. Sul tema, il Decreto Lavoro aggiunge il comma 5 bis all’art. 19, D. Lgs. n. 81/2015, con cui si precisa che ai contratti a termine stipulati dalle pubbliche amministrazioni e da altre istituzioni si applicherà la normativa in materia anteriore al Decreto Dignità.
Altra novità riguarda il contratto di espansione (previsto, in via sperimentale, dall’art. 41 del D. Lgs. n. 148/2015), strumento di cui – secondo la definizione di legge – si possono avvalere le imprese coinvolte in processi di reindustrializzazione e di riorganizzazione, che comportino modifiche strutturali dei processi aziendali, con finalità di sviluppo tecnologico dell’attività, da cui discendono esigenze di modifica delle competenze professionali in organico mediante un loro impiego più razionale e con previsione di assumere nuove professionalità. In tali situazioni, l’impresa può avviare una procedura di consultazione, finalizzata a stipulare in sede governativa un contratto di espansione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o con le loro rappresentanze sindacali aziendali o con la rappresentanza sindacale unitaria, con la finalità di consentire ai lavoratori 1) che si trovano a meno di 5 anni dalla pensione di vecchiaia oppure da quella anticipata, 2) che abbiano maturato il requisito minimo contributivo e che 3) abbiano risolto consensualmente il rapporto di lavoro entro il 30 novembre 2023, di uscire anticipatamente e di ricevere un’indennità mensile pari al trattamento pensionistico lordo maturato al momento della cessazione del rapporto, da corrispondersi dall’azienda.
La legge, in origine, prevedeva che dello strumento potessero avvalersi le imprese con più di 1.000 dipendenti; tale limite è stato abbassato nel tempo e, da ultimo, la legge di bilancio 2022, che ha prorogato il regime sperimentale fino al 2023, ha ridotto il requisito relativo al numero minimo di lavoratori che devono essere occupati dall’azienda per poter beneficiare del contratto di espansione a 50 unità.
Per consentire l’attuazione dei piani, il Decreto Lavoro consente alle aziende con più di 1.000 dipendenti che abbiamo sottoscritto contratti di espansione di gruppo entro il 31 dicembre 2022 e che non siano ancora conclusi, di stipulare un accordo integrativo in sede ministeriale fino al 31 dicembre 2023, attraverso il quale rimodulare le cessazioni dei rapporti di lavoro di coloro che possono accedere alla pensione anticipata entro un arco temporale di 12 mesi successivi al termine originario del contratto di espansione (art. 25).
Un ulteriore intervento è previsto in tema di ammortizzatori sociali: nei confronti di aziende che abbiano dovuto fronteggiare situazioni di perdurante crisi aziendale e di riorganizzazione e che non siano riuscite a dare completa attuazione, nel corso del 2022, ai piani di riorganizzazione e ristrutturazione originariamente previsti per prolungata indisponibilità dei locali aziendali, per cause non imputabili al datore di lavoro, su domanda delle medesime aziende, anche qualora si trovino in stato di liquidazione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali può autorizzare, con proprio decreto, in via eccezionale e in deroga agli articoli 4 e 22 del D. Lgs. n. 148/2015, un ulteriore periodo, in continuità delle tutele già autorizzate, di cassa integrazione salariale straordinaria fino al 31 dicembre 2023, al fine di salvaguardare il livello occupazionale e il patrimonio di competenze acquisito dai lavoratori dipendenti. Non si applicano le procedure e i termini di cui agli articoli 24 e 25 del D. Lgs. n. 148/2015 (ovvero non occorre ricorrere alla procedura di consultazione sindacale) (art. 30).
Nel segno di una semplificazione, vengono anche ridimensionati gli adempimenti previsti a carico delle aziende dal D. Lgs. n. 152/1997, recentemente modificato dal c.d. Decreto Trasparenza (D. Lgs. n. 104/2022) in tema di obblighi di informazione sul rapporto di lavoro e di utilizzo dei sistemi decisionali e di monitoraggio (art. 26). In particolare, viene stabilito che per alcune informazioni da fornire al lavoratore in sede di assunzione (ad es., durata del periodo di prova, congedo per ferie, importo della retribuzione, orario di lavoro) è sufficiente il riferimento alla legge o al CCNL. ll datore di lavoro viene, tuttavia, onerato della consegna o della messa a disposizione al personale, anche su siti web, dei contratti collettivi e dei regolamenti aziendali applicabili al rapporto di lavoro. Il medesimo datore deve, altresì, informare i lavoratori dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio integralmente automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni, nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori. A tale obbligo fanno eccezione i sistemi protetti da segreto industriale e commerciale.
Una disposizione ad hoc, in tema di prestazioni occasionali, riguarda il settore turistico e termale: secondo tale nuova norma, l’importo massimo di compenso erogabile a chi svolge prestazioni occasionali nel settore turistico e termale è elevato a 15.000 euro per gli utilizzatori che operano nei settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento. Inoltre, per tali categorie di utilizzatori il divieto di ricorso al contratto di prestazione occasionale si applica a coloro che occupano fino a 25 lavoratori subordinati a tempo indeterminato (art. 37).
RAFFORZAMENTO DELLE REGOLE DI SICUREZZA SUL LAVORO
Il Decreto Lavoro non manca di intervenire in materia di salute e sicurezza sul lavoro, introducendo alcune modifiche al D. Lgs. n. 81/2008, volte a rafforzare gli obblighi del datore di lavoro in materia di formazione e sicurezza dei lavoratori, nonché gli obblighi del medico competente (art. 14). Inoltre, per rafforzare l’attività di vigilanza nei confronti delle imprese che presentano fattori di rischio in materia di salute e sicurezza sul lavoro, è previsto che enti pubblici e privati condividano le informazioni di cui dispongono con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (art. 15).
Sempre con la finalità di prevenire rischi collegati all’espletamento di attività lavorativa, vengono riviste, sotto un duplice profilo, le regole in materia di percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO, già Alternanza scuola-lavoro): si punta, invero, ad una maggiore qualificazione delle ore trascorse dagli studenti on the job ed a rafforzare le misure di prevenzione e protezione. A questo riguardo, si prevede che le aziende che accedono ai percorsi di PCTO devono compilare un’apposita sezione del DVR per garantire la sicurezza nello svolgimento delle ore di formazione pratica. Deve essere poi individuata la figura di un docente che segua il percorso formativo degli studenti.
E’, infine, istituito un Fondo per indennizzare i decessi nei PCTO (10 milioni per le vittime dal 2018 in poi e 2 milioni per il 2024) e viene estesa a tutti gli studenti, anche privati, impegnati nei percorsi di studio-lavoro la tutela assicurativa INAIL (art. 17).
MISURE A SOSTEGNO DEL REDDITO
Sono di rilievo le misure a sostegno del reddito delle fasce più deboli, dirette ad incrementare gli stipendi attraverso la riduzione della pressione fiscale-contributiva.
Nello specifico, viene disposta la riduzione del cuneo fiscale di 4 punti per 6 mesi (da luglio a dicembre 2023) per retribuzioni lorde fino a 35.000 euro. Il beneficio si aggiunge all’attuale taglio – stabilito dalla legge di bilancio 2023 (L. n. 197/2022) – di 3 punti per retribuzioni fino a 25.000 euro lordi e di 2 punti per le retribuzioni comprese tra 25.000 e 35.000 euro; il che porterà un vantaggio in busta paga per i lavoratori compresi in dette fasce retributive di circa 100 euro al mese. I tagli previsti riguardano solo i contributi a carico del lavoratore; in sostanza, la retribuzione netta aumenta perché la pressione contributiva a carico del lavoratore – gravante sulla medesima retribuzione – si alleggerisce (art. 39).
A favore di lavoratori con figli minori è stabilito anche che siano esentasse i benefit sino a 3.000 euro, limitatamente al periodo di imposta 2023. Non sono soggette a tassazione entro il predetto limite anche le somme erogate o rimborsate ai lavoratori, da parte dei datori, per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale (art. 40).
Sempre a sostegno delle famiglie e dei lavoratori, ma nell’ottica di favorire la conciliazione vita-lavoro, è stanziato un fondo di 60 milioni di euro con la previsione di potenziare i centri estivi, i servizi socio-educativi territoriali e i centri con funzione educativa e ricreativa che svolgono attività a favore di minori (art. 42).
ULTERIORI INCENTIVI PER LE IMPRESE
Per le imprese che assumono, dal 1° giugno 2023 fino a fin e anno, giovani under 30, non inseriti in percorsi di studio o formazione (c.d. NEET) e che siano registrati al Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani, su espressa domanda delle medesime imprese è riconosciuto un incentivo pari al 60% della retribuzione mensile lorda imponibile a fini previdenziali per 12 mesi. L’incentivo è cumulabile con l’agevolazione stabilita dall’art. 1, comma 297, della L. n. 197/2022, finalizzata a favorire l’occupazione giovanile, nonché con altri esoneri. Nel caso di cumulo con altre misure, l’incentivo “Neet” scende al 20% della retribuzione mensile lorda imponibile a fini previdenziali per ogni nuovo assunto (art. 27). Viene anche istituito un fondo finalizzato al riconoscimento di un contributo in favore degli enti del terzo settore che procedano ad assumere, ex L. 68/99, soggetti disabili di età inferiore a trentacinque anni, con contratto a tempo indeterminato tra il 1° agosto 2022 e il 31 dicembre 2023. Le modalità di ammissione, quantificazione e erogazione del contributo andranno definiti con apposito decreto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri o dal Ministro delegato per la disabilità e dal Ministro del Lavoro (art. 28).
ALTRI INTERVENITI IN MATERIA DI POLITICA SOCIALE E DEL LAVORO
È stabilito l’incremento del “Fondo nuove competenze”, con riguardo alle intese sottoscritte a decorrere dal 2023, ai sensi dell’art. 88 del D.L. n. 34/2020 (conv. nella L. n. 77/2020) per finanziare parte della retribuzione oraria, nonché gli oneri relativi ai contributi previdenziali, delle ore di lavoro destinate ai corsi formativi per favorire la ricollocazione professionale dei lavoratori a seguito della transizione digitale ed ecologica (art. 19).
È poi previsto che la maggiorazione dell’assegno unico e universale riguardante nuclei familiari in cui entrambi i genitori siano titolari di reddito da lavoro (art. 4, co. 8, D. Lgs. n. 230/2021, pari in misura piena a 30 euro mensili per ciascun figlio minore, tenuto conto dei valori di ISEE), spetta anche per i minori appartenenti a nuclei nei quali, al momento della presentazione della domanda, è presente un solo genitore lavoratore poiché l’altro risulta deceduto. La maggiorazione viene riconosciuta per un periodo di 5 anni successivi all’evento (art. 22).
Sono modificate le sanzioni amministrative per il caso di omesso versamento delle ritenute previdenziali, già stabilite dall’art. 2, co. 1 bis, D.L. n. 463/1983, conv. nella L. n. 638/1983: se l’importo omesso non è superiore ad euro 10.000, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso (art. 23).