A cura di Sara Lovecchio
La c.d. NASpI – ovvero “Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego” – è stata introdotta (in sostituzione, da ultimo, delle c.d. AspI e mini-AspI) dal D. Lgs. 4 marzo 2015, n. 22, successivamente modificato dalla Legge n. 234/21.
Come noto, si tratta di un’indennità erogata dall’INPS, che ha “la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che hanno perduto involontariamente la propria occupazione” (cfr. art. 1, D. Lgs. n. 22/2015).
Requisiti indispensabili per la percezione di tale indennità, espressamente previsti dall’art. 3 del D. Lgs. cit., sono:
– lo stato di disoccupazione;
– il c.d. requisito contributivo, ovvero aver versato almeno 13 settimane di contributi nei 4 anni precedenti l’inizio della disoccupazione;
– il c.d. requisito lavorativo, ovvero aver lavorato quanto meno 30 giorni effettivi nei 12 mesi che precedono la disoccupazione (requisito che non è più richiesto dal 1 gennaio 2022).
Per quanto riguarda il primo requisito, lo stesso non rileva in quanto tale, ma solo laddove la disoccupazione sia conseguenza della perdita involontaria del posto di lavoro.
Ciò considerato, la NASpI spetta essenzialmente in caso di licenziamento; quest’ultimo, infatti, viene considerato motivo di perdita involontaria del posto di lavoro, a prescindere dalle ragioni alla base dello stesso; il lavoratore, quindi, ha diritto alla suddetta prestazione assistenziale, non solo in caso di licenziamento per motivi organizzativi, economici, etc., ma anche laddove il licenziamento sia disciplinare, compresa l’ipotesi della giusta causa (cfr. circolare Inps n. 2/2022).
Per completezza si rileva che la NASpI è, altresì, dovuta in caso di licenziamento in periodo di prova, nonché a seguito della cessazione del contratto a tempo determinato, ovviamente, purché sussistano anche gli altri requisiti (lavorativi e contributivi) previsti dall’art. 3, D. Lgs. cit..
In conseguenza di quanto sopra e come evidenziato dall’INPS già nella prima circolare successiva all’introduzione della NASpI, la stessa non è invece dovuta nell’ipotesi di dimissioni e risoluzione consensuale (cfr. circolare n. 94 del 12 maggio 2015). Vi sono, però, delle importanti eccezioni a questa regola generale. Il lavoratore/la lavoratrice, infatti, ha comunque diritto alla NASpI in caso di:
– risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di cui all’art. 7 della legge n. 604/19966 (ovvero la procedura espletata nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo);
– risoluzione consensuale conseguente al rifiuto di trasferirsi presso un’altra sede distante più di 50 km dalla propria residenza e/o raggiungibile con mezzi pubblici in 80 minuti o più (cfr., ancora Circolare Inps 94/2015);
– dimissioni della lavoratrice madre durante il periodo tutelato di maternità ex art. 55 D. Lgs. 151/2001 (ovvero da 300 giorni prima della data presunta del parto sino ad un anno di età del bambino);
– dimissioni del lavoratore padre che abbia fruito del congedo di paternità c.d. obbligatorio (introdotto dall’art. 27 bis, D. Lgs. 151/2001, come modificato dal D. Lgs n. 105/22) o c.d. alternativo (cfr. art. 28, D. Lgs. n. 151/2001), durante tale periodo e sino ad un anno di età del bambino (cfr. circolare INPS n. 32 del 20 marzo 2023);
– dimissioni volontarie motivate da giusta causa (ovvero, in via esemplificativa, per omesso pagamento dello stipendio, per molestie sessuali, per mobbing, etc.: cfr. circolare Inps n. 94/2015).
In relazione a quest’ultima ipotesi, l’Inps ha precisato che, al fine di dimostrare l’effettiva non volontarietà del conseguente stato di disoccupazione, il lavoratore dovrà allegare alla domanda di NASpI documentazione idonea a dimostrare “almeno la sua volontà di difendersi in giudizio nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro (allegazione di diffide, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex articolo 700 c.p.c., sentenze, ecc. contro il datore di lavoro, nonché ogni altro atto idoneo), impegnandosi a comunicare l’esito della controversia giudiziale o extragiudiziale”. Non solo. L’Inps specifica, altresì, che laddove l’esito della lite dovesse escludere la sussistenza della giusta causa di dimissioni, l’Istituto procederà al recupero di quanto eventualmente già versato al lavoratore a titolo di NASpI (cfr., da ultimo, messaggio Inps 26 gennaio 2018, n.369).