A cura di Marina Olgiati
Lo scorso 24 aprile, il Parlamento europeo ha dato il via libera a norme dirette a migliorare le condizioni di lavoro e la protezione dei dati personali nel lavoro mediante piattaforme digitali.
La nuova Direttiva si pone l’obiettivo di porre regole, impegnative per gli Stati membri dell’Unione, volte a risolvere alcune problematiche evidenziate dallo svolgimento di attività tramite piattaforme digitali.
È noto che l’economia delle piattaforme digitali – che ha avuto un impulso durante la pandemia da Covid 19 – è in forte crescita; secondo un’analisi della Commissione europea interessa, attualmente, circa 28 milioni di lavoratori e nel 2025 ne riguarderà più di 40 milioni.
È pure risaputo che il lavoro mediante le piattaforme (denominato anche “gig economy”) assume varie forme ed aspetti. La piattaforma informatica, infatti, può operare direttamente come committente, attraverso un software da essa gestito, oppure può operare come un sistema di intermediazione che mette in contatto committenti con prestatori di lavoro. Il fenomeno interessa persone che, reclutate attraverso le piattaforme digitali, possono prestare attività offline (come i riders del food delivery o i drivers quali Uber), ma anche una platea più vasta di individui, la cui attività si svolge interamente online (ne sono esempi il crowd working e il cloud working). Il lavoro gestito attraverso le piattaforme digitali può, in alcuni casi, rivestire i caratteri della subordinazione, in altri casi quello del lavoro autonomo, in altri casi ancora, per le sue caratteristiche, può non essere riconducibile esclusivamente all’una o all’altra categoria.
È questo il caso dell’attività dei riders, la qualificazione del cui rapporto di lavoro ha impegnato negli ultimi anni anche la giurisprudenza italiana, la quale è giunta ad approdi differenti (tra le altre, cfr. Trib. Torino, 7 maggio 2018, n. 778, che ha qualificato il rapporto come autonomo e che è stata, in seguito, riformata da App. Torino 4 febbraio 2019, n. 26, la quale ha, invece, ricondotto il rapporto alle collaborazioni etero-organizzate; Trib. Milano 20 aprile 2022, n. 1018, che si è espressa nel senso della subordinazione). In effetti, l’attività dei riders, da un lato, presenta la peculiarità di consentire al lavoratore un certo grado di autonomia nella scelta dei tempi di lavoro e dei soggetti a cui offrire la prestazione; dall’altro lato, però, questa forma di attività può comportare per il lavoratore (anche in violazione della privacy) un controllo pervasivo sull’attività svolta (basti pensare al fatto che il lavoratore, attraverso la smartphone di cui dispone per prendere gli ordini, può essere facilmente geolocalizzato e monitorato sul numero delle consegne effettuate, sui percorsi e, nei casi in cui la piattaforma è gestita da un algoritmo, potrebbe essere “dispensato” dal servizio – anche attraverso una semplice disconnessione – perché la sua attività non viene ritenuta congrua secondo i parametri utilizzati dall’algoritmo medesimo). Inoltre, sono noti gli svantaggi del lavoratore che opera attraverso piattaforma sotto il profilo del trattamento economico (tenuto conto che, di regola, il compenso viene commisurato al numero delle consegne compiute) e della mancanza di tutele (ad es., di tipo previdenziale e antinfortunistico).
In questo contesto, si è fatta sentire, a livello generale, l’esigenza di regolamentare questa nuova forma di lavoro, tenuto conto delle sue caratteristiche, ed in quest’ottica si pone la nuova Direttiva UE, approvata dal Parlamento lo scorso 24 aprile, ora in attesa dell’approvazione formale da parte del Consiglio, a cui seguirà poi la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.
Alla base delle nuove regole europee sta, dunque, la consapevolezza dell’aumento del numero delle piattaforme digitali, che ha sicuramente avvantaggiato imprese e consumatori, ma che non è stata accompagnata da un’adeguata tutela dei diritti di coloro che prestano lavoro o servizi attraverso le piattaforme. Come si legge nel testo approvato dal Parlamento europeo, la Direttiva si propone di porre criteri diretti a facilitare la corretta classificazione della situazione occupazionale delle persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali, con l’obiettivo di riqualificare il lavoro autonomo fittizio; si prefigge di promuovere la trasparenza, l’equità, la sorveglianza umana e la responsabilità nella gestione algoritmica mediante piattaforme digitali e di migliorare la trasparenza nel lavoro mediante tali piattaforme, anche in situazioni transfrontaliere. A tale scopo, intervenendo in assoluto per la prima volta, la UE introduce regole sull’uso degli algoritmi sul posto di lavoro.
Da rilevare che la Direttiva si applica alle piattaforme digitali che organizzano il lavoro svolto nell’Unione, a prescindere dal luogo di stabilimento e dal diritto applicabile.
Al fine perseguito, la Direttiva introduce, innanzitutto, una presunzione di lavoro subordinato in capo ai lavoratori che operano attraverso piattaforme digitali quando sono presenti fattori di controllo e di direzione in conformità al diritto nazionale, ai contratti collettivi e alla giurisprudenza dell’UE.
La presunzione mira a compensare la posizione di squilibrio tra la piattaforma e la persona che, tramite essa, svolge attività lavorativa e, trattandosi di presunzione relativa, viene rimesso alla piattaforma l’onere di provare l’inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Quali criteri indicativi della presunzione di subordinazione, le diposizioni europee fanno riferimento agli indici tradizionali di subordinazione, ossia il potere di direzione e controllo, eliminando, in tal modo, il riferimento ad indici più specifici, previsti nel testo originario licenziato dalla Commissione europea, la cui applicazione era stata criticata in quanto tendente a far ricondurre, in modo stringente, il lavoro tramite piattaforma al lavoro subordinato, con il rischio, dunque, di incasellare nella subordinazione categorie intermedie ed ibride di lavoro flessibile e digitalizzato. Quanto agli obblighi di trasparenza, le regole europee rispondono all’esigenza di rendere conoscibili alle persone che operano tramite piattaforma i criteri di funzionamento dell’algoritmo, con riguardo, tra l’altro, al meccanismo del rating (ovvero ai meccanismi di valutazione dell’algoritmo circa l’affidabilità del lavoratore ed al giudizio della clientela). Si tratta, come si può ben comprendere, di un meccanismo che incide sulla possibilità, per il lavoratore, di acquisire determinati incarichi e persino sulla sospensione o sulla chiusura del suo account. Infatti, attraverso la valutazione elaborata dall’algoritmo, la piattaforma assume le decisioni di premiare o sanzionare il lavoratore.
La Direttiva garantisce, altresì, che la persona che lavora su piattaforma non possa essere allontanata o licenziata in base ad una decisione presa da un algoritmo o da un sistema decisionale automatizzato. Gli Stati membri dovranno, pertanto, dotarsi di un sistema di regole che garantisca il controllo umano su decisioni che incidono direttamente sulle persone che svolgono attività lavorativa con tale modalità, prevedendo anche il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori.
Vengono, poi, introdotte norme a tutela dei dati personali, con il divieto per le piattaforme di elaborare, per esempio, dati biometrici, di salute, sullo stato emotivo o psicologico, quelli relativi alle conversazioni private e alle convinzioni personali dei lavoratori.
Infine, sono contemplate disposizioni in tema di trasparenza delle informazioni sulla situazione contrattuale e occupazionale dei lavoratori da acquisire dalle pubbliche autorità.
Per quanto attiene all’impatto della Direttiva sul nostro diritto interno, la questione qualificatoria – almeno per alcune categorie di lavoratori, tra cui i riders – potrebbe già ritenersi risolta dall’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015, che, laddove dispone l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato alle collaborazioni c.d. etero-organizzate, estende – a seguito della modifica introdotta dalla L. n. 128/2019 – la medesima disciplina anche alle prestazioni organizzate mediante piattaforme digitali. Infatti, se pure la disposizione non contenga espressamente una presunzione di subordinazione del c.d. “lavoratore piattaformista”, di fatto la medesima consegue l’obiettivo della Direttiva, garantendo l’applicazione delle tutele proprie della subordinazione, con la sola eccezione che la contrattazione collettiva abbia previsto una disciplina ad hoc (art. 2, co. 2, D. Lgs. n. 81/2015). Questa norma, dunque – che la Cassazione, nella decisione n. 1663/2020, ha definito norma di disciplina – impone che, al verificarsi delle condizioni ivi previste, si applichi la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, senza creare una nuova fattispecie intermedia tra la subordinazione e l’autonomia.
Sempre il legislatore del 2019 ha poi introdotto nel D. Lgs. n. 81/2015 gli artt. 47 bis e ss., con lo scopo di apprestare tutele minime per i lavoratori autonomi (a cui non si applica, l’art. 2, co. 1, del D. Lgs. n. 81) che svolgono attività mediante piattaforme digitali, nel caso in cui si accerti che l’attività viene eseguita da costoro secondo certe modalità (in ambito urbano, con l’uso di cicli o motocicli e quando le condizioni di erogazione del servizio sono stabilite dalla piattaforma). Le tutele sono, innanzitutto, costituite dalla previsione di emolumenti coerenti con quelli previsti dalla contrattazione collettiva relativa a settori affini di operatività, con la finalità di evitare che il compenso venga stabilito in base al numero delle consegne e sia, invece, previsto un compenso minimo orario. In omaggio al principio di informazione e trasparenza è, ancora, stabilito che il contratto con la piattaforma debba essere provato per iscritto e che i lavoratori debbano ricevere tutte le informazioni relative al rapporto di lavoro.
L’obbligo di fornire informazioni sui sistemi decisionali o di monitoraggio integralmente automatizzati, deputati a fornire indicazioni a fini dell’assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione e della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni, nonché indicazioni sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori è contemplato dall’art. 1 bis del D. Lgs. n. 152/1997, come modificato dal D. L. n. 48/2023, conv. nella Legge n. 85/2023.
Infine, vale anche nei confronti dei predetti prestatori di lavoro la normativa antidiscriminatoria, così come le norme a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori – ivi compreso l’obbligo di coperture assicurative – nonché il principio per cui è vietata l’esclusione o la riduzione delle occasioni di lavoro, a causa della mancata accettazione della prestazione. In merito ai dati personali, ne è previsto il trattamento in conformità alle normative in materia, sia nazionali che europee.
Si può, dunque, concludere che nel nostro sistema giuridico esistono già – almeno con riferimento ad alcune categorie di persone che svolgono attività attraverso le piattaforme digitali – una serie di tutele conformi alla Direttiva europea.