Repêchage: insussistenza obbligo formativo

Repêchage: insussistenza obbligo formativo

A cura di Serena Previtali

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’obbligo datoriale di repêchage, anche ai sensi del novellato art. 2103, secondo comma c.c., “è limitato alle mansioni inferiori compatibili con il bagaglio professionale di cui il lavoratore sia dotato al momento del licenziamento, che non necessitino di una specifica formazione che il predetto dipendente non abbia”.
È questo il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte, con ordinanza del 20 giugno 2024, n.17036.
Nello specifico, la Cassazione, con la summenzionata ordinanza, ha avuto modo di chiarire che l’adempimento dell’obbligo di repêchage deve essere verificato alla luce di quelle che sono le attitudini e la formazione professionale di cui il lavoratore sia dotato al momento del licenziamento, dovendosi escludere l’esistenza di un obbligo di formazione in capo al datore di lavoro, al fine di salvaguardarne il posto di lavoro.
La vicenda sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguarda due lavoratori assunti con mansioni di autisti presso un’azienda ospedaliera ed addetti prevalentemente al trasporto di farmaci ed emoderivati; cessato il contratto di “trasporto sangue” ed essendo, così, venuto meno il loro posto di lavoro, l’azienda ospedaliera li licenziava per giustificato motivo oggettivo.
I due lavoratori presentavano ricorso davanti al Tribunale, lamentando, tra le altre cose, la violazione dell’obbligo di repêchage; il giudice di prime cure accoglieva il ricorso, ritenendo integrata la violazione del predetto obbligo, per non aver la società impartito ai lavoratori la formazione necessaria per lo svolgimento delle mansioni inferiori di addetti al servizio mensa, che i lavoratori in questione – pacificamente – non avevano le competenze per svolgere al momento del licenziamento.
La Società proponeva, quindi, ricorso innanzi alla Corte d’Appello di Lecce, la quale, in accoglimento del ricorso, riformava la pronuncia di prime cure, dichiarando i licenziamenti legittimi.
Giunta la causa al terzo grado di giudizio, la Suprema Corte, nel confermare la decisone della Corte territoriale, evidenziava che l’obbligo di repêchage impone al datore di lavoro l’onere di provare, in base a circostanze oggettivamente riscontrabili, che il lavoratore non sia in possesso della capacità professionale richiesta per occupare la diversa posizione libera in azienda, “altrimenti risultando il rispetto dell’obbligo di repêchage sostanzialmente affidato ad una mera valutazione discrezionale dell’imprenditore” e che, una volta fornita tale prova, deve escludersi “l’esistenza di un obbligo del datore di lavoro di formazione professionale, riferendo l’obbligo di repêchage limitatamente alle attitudini ed alla formazione di cui il lavoratore sia dotato al momento del licenziamento (Cass. 13 agosto 2008, n. 21579; Cass. 8 marzo 2016 n. 4509; Cass. 6 dicembre 2018, n. 31653), non essendo il primo tenuto a fornire al secondo un’ulteriore o diversa formazione per salvaguardare il suo posto di lavoro (Cass. 11 marzo 2013, n. 5963)”.
Sulla base di tali principi, la Cassazione rigettava il ricorso, considerato che, nella fattispecie, era pacifica ed era stata, comunque, accertata dalla Corte d’Appello l’incapacità dei lavoratori allo svolgimento delle mansioni di addetti al servizio mensa, se non seguendo un idoneo percorso di riqualificazione professionale.

Come possiamo aiutarti?

Consultaci per qualsiasi informazione