A cura di Orazio Marano
Con una recente sentenza (21 marzo 2023), il Tribunale di Forlì si è pronunziato – nell’ambito di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo – su una vicenda di particolare interesse, quale quella della rinunzia all’assunzione (nel caso di specie, con inquadramento dirigenziale e funzioni di Direttore Amministrativo) da parte di un lavoratore che aveva sottoscritto con un’azienda un contratto di lavoro subordinato, nel cui ambito le parti avevano – tra l’altro – concordato l’assunzione (e quindi l’inizio dell’attività lavorativa) a distanza di tre mesi, una “penale” a carico del lavoratore per il caso di mancata “presa di servizio” a lui imputabile ed un periodo di prova di sei mesi.
Nel contestare la pretesa dell’azienda (che aveva ottenuto un’ingiunzione di pagamento della “penale” concordata per avere l’altra parte rinunziato alla posizione lavorativa), il lavoratore evidenziava che la previsione contrattuale del patto di prova rendeva incongrua la pretesa di pagamento di detta “penale”, dal momento che il patto di prova stabiliva un periodo nel quale entrambe le parti avrebbero potuto recedere liberamente, senza alcun obbligo di pagamento di indennizzi di sorta. Peraltro, sempre a detta del lavoratore, nel caso di specie doveva essere attribuita rilevanza anche alla buona fede della sua condotta, avendo lo stesso comunicato la propria decisione con congruo preavviso, senza sfruttare la previsione contrattuale del patto di prova e senza, quindi, creare alcun danno all’azienda
Quanto al primo “argomento” difensivo, in particolare, il lavoratore osservava che la lettera sottoscritta dalle parti non rappresentava un impegno preliminare, bensì un contratto di lavoro definitivo, ragion per cui la comunicazione con cui lo stesso aveva informato l’azienda di rinunziare alla “presa di servizio” doveva essere qualificata come comunicazione di recesso, identica a quella che l’interessato avrebbe potuto inviare – in caso di dimissioni – durante il periodo di prova. Detti assunti venivano contestati dalla società, la quale sottolineava che la summenzionata comunicazione di rinuncia alla “presa di servizio”, sebbene effettuata con congruo preavviso, non faceva venir meno l’inadempimento contrattuale ed il conseguente diritto della futura datrice di lavoro al risarcimento del danno patito.
La società rilevava, altresì, l’infondatezza di quanto dedotto in merito al periodo di prova, evidenziando che sia la clausola penale, sia la clausola risolutiva espressa (prevista proprio per l’ipotesi di mancato inizio dell’attività lavorativa), non contrastano con la disciplina di legge del rapporto di lavoro subordinato, che si applica solo a decorrere dall’instaurazione effettiva dello stesso; ciò in ragione del fatto che, come dispone l’art. 2096 cod. civ., il regime di libera recedibilità si applica “durante il periodo di prova” e non può quindi retroagire ad un momento antecedente; quanto sopra, in aggiunta al fatto che, ai sensi del summenzionato art. 2096 cod. civ., la prova deve essere effettivamente esperita (il che non si era verificato nel caso di specie).
Nel motivare la fondatezza delle argomentazioni esposte dalla società (e quindi il rigetto dell’opposizione proposta dal lavoratore), il Tribunale ha evidenziato che: 1) con la lettera sottoscritta dalle parti, avente natura pacificamente contrattuale, le stesse non avevano inteso differire soltanto la “presa di servizio” (rectius l’obbligo di “presa di servizio”) ad un momento successivo, ma anche lo stesso momento costitutivo del rapporto di lavoro (come attestato dal riferimento contenuto nel testo alla “Sua assunzione alle nostre dipendenze alle seguenti condizioni: decorrenza 15.10.2020”), ragion per cui la comunicazione del lavoratore non poteva assumere il valore di recesso in corso di rapporto; 2) la “clausola di rispetto della data concordata di presa servizio” apposta nella summenzionata prima lettera è valida ed efficace ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., vigendo anche nella disciplina del contratto di lavoro il principio di autonomia contrattuale delle parti (così come stabilito dalla surrichiamata disposizione codicistica); in detto ambito, la clausola che stabilisce il pagamento di una “penale” e la risoluzione del contratto concordata tra le parti qualora il lavoratore non prenda servizio alla data stabilita, sono chiara espressione di detta autonomia contrattuale; 3) la previsione dell’applicazione della “penale” (e della clausola risolutiva espressa) non è incompatibile con il patto di prova, avendo le due previsioni oggetto e finalità differenti e tutelando due diversi momenti del rapporto di lavoro: in particolare, la prima afferisce ad un momento precedente all’effettiva “presa di servizio” (tutelando l’interesse della società all’assunzione del lavoratore e al risarcimento forfettario del danno da eventuale inadempimento dell’impegno di prendere servizio alla data concordata); la seconda (il patto di prova) trova attuazione al momento dell’inizio dell’attività lavorativa (rispondendo ad un interesse differente e specifico delle parti, quello di saggiare la reciproca convenienza del contratto), ragion per cui la libera recedibilità prevista per il periodo di prova ai sensi dell’art. 2096 cod. civ. presuppone che il rapporto di lavoro si sia costituito e che le parti abbiano consentito e svolto l’esperimento che forma oggetto del patto di prova (il che, come detto, non si era verificato nel caso di specie); 4) da ultimo, nel confermare la correttezza della somma dovuta dal lavoratore a titolo risarcitorio, il Tribunale ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la clausola penale è intesa a rafforzare il vincolo contrattuale e a stabilire preventivamente la prestazione cui è tenuto uno dei contraenti qualora si renda inadempiente, con l’effetto di limitare a tale prestazione il risarcimento indipendentemente dal danno effettivamente subito.
Trattasi di pronunzia che conferma l’utilità, per il futuro datore di lavoro, di inserire in un accordo preliminare (sia esso una lettera di intenti all’assunzione o un contratto di lavoro con assunzione differita) clausole a tutela dell’azienda (soprattutto nei casi di specifici profili professionali, sia per competenze “tecniche” sia per strategicità della posizione che dovrebbero ricoprire in azienda): ciò non solo al fine di testare l’affidabilità e la serietà della futura controparte contrattuale, ma anche quale forma di “protezione” a fronte dei pregiudizi (organizzativi e non solo) che un ripensamento del futuro lavoratore potrebbe causare.