Unità aziendali in crisi: legittima la limitazione della platea nel licenziamento collettivo

Unità aziendali in crisi: legittima la limitazione della platea nel licenziamento collettivo

A cura di Tiziano Feriani

Nell’ambito di un licenziamento collettivo, è legittimo l’accordo sindacale che limita la platea dei lavoratori interessati a quelli operanti nelle sole unità produttive aziendali in crisi qualora ciò sia in linea con quanto indicato dal datore nella lettera di avvio della procedura e gli altri stabilimenti siano così distanti, sotto il profilo geografico, dalle medesime da far ritenere infungibili le posizioni lavorative dei dipendenti ad essi adibiti.
In tal senso si è recentemente espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5205 del 20 febbraio 2023, rigettando il ricorso proposto da una lavoratrice e, per l’effetto, confermando la sentenza della Corte d’Appello territorialmente competente, la quale – al pari di quanto in precedenza deciso dal Tribunale – aveva dichiarato la legittimità del suo licenziamento.
La pronuncia in esame ha ribadito il principio generale secondo cui – in base a quanto stabilito dall’art. 5, comma 1, della legge n. 223/1991 – nei licenziamenti collettivi, l’individuazione dei lavoratori in esubero deve essere effettuata prendendo in considerazione l’intero complesso aziendale.
Tuttavia, il Supremo Collegio ha anche rilevato che, in presenza di esigenze tecnico-produttive oggettive e concretamente verificabili, la platea dei dipendenti coinvolti può legittimamente essere limitata ad un determinato reparto o settore o sede aziendale, a patto che ciò sia coerente con il progetto di ristrutturazione e con le ragioni illustrate nella comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo.
Ne consegue che, in detta comunicazione, il datore che intenda limitare la scelta dei lavoratori da licenziare a quelli addetti ad un solo reparto o settore o sede – lungi dal fare un riferimento generico alla situazione aziendale generale – deve, invece, illustrare la situazione in cui versa quello specifico ambito territoriale più ristretto, al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificarne la veridicità e la conseguente legittimità della propria decisione di circoscrivere l’ambito dei dipendenti in esubero.
Nel caso di specie, il datore – dopo aver revocato, in seguito ad accordo con i sindacati, una prima procedura di licenziamento collettivo aperta con riferimento a molteplici sedi aziendali – aveva attivato una seconda procedura, poi conclusasi con un accordo sindacale, il cui ambito applicativo era, invece, limitato alle due sedi in cui si era verificato un peggioramento della situazione generale.
Nella lettera di apertura della procedura, il datore aveva illustrato la situazione di vera e propria crisi in cui versavano le succitate due sedi (a differenza delle altre) e tale circostanza, secondo il Supremo Collegio, ha giustificato il contingentamento degli esuberi ai dipendenti ad esse adibiti, tenuto conto che l’art. 5, comma 1, della legge n. 223/91, prima di imporre l’osservanza dei criteri di scelta, richiama le esigenze tecnico-produttive ed organizzative quale criterio per valutare il nesso di causalità tra la decisione dell’imprenditore di ridurre il personale e la scelta di licenziare i lavoratori entro un determinato ambito aziendale.
Nel contesto di detta valutazione ha rivestito un ruolo importante anche la distanza geografica tra le due unità produttive in questione e le altre, poiché ciò è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione un indice di infungibilità delle posizioni lavorative dei rispettivi addetti, tale da rendere ragionevole la delimitazione della platea dei licenziandi alle sole unità nella quali si era verificata la summenzionata situazione di crisi.
Nella lettera di avvio della procedura, il datore aveva, altresì, specificato, in modo analitico, i motivi per cui non era possibile estendere la comparazione al personale con mansioni omogenee impiegato presso le unità produttive non interessate dal progetto di ristrutturazione, motivi che – secondo quanto ritenuto dal Supremo Collegio – hanno giustificato la scelta da lui operata, tenuto conto che il potenziale coinvolgimento di tutti i dipendenti con mansioni omogenee avrebbe richiesto ulteriori esborsi collegati agli oneri economici necessari per l’indispensabile formazione e, inoltre, avrebbe rallentato i tempi di produttività.

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