“Brexodus” e nuovi lavoratori migranti

“Brexodus” e nuovi lavoratori migranti

A cura della Redazione Biblioteca

 

Il tredicesimo volume dell’Enciclopedia giuridica del lavoro, pubblicato nel 1983 (poi riedito nel 2001), si intitolava Diritto comunitario del lavoro. A firmarlo era Fausto Pocar, classe 1938, professore emerito di Diritto internazionale all’Università degli Studi di Milano e già membro di alcuni dei più importanti organi internazionali che si occupano di diritti umani, come l’Assemblea generale delle Nazioni Unite di New York o la Commissione per i Diritti Umani di Ginevra.

Il volume, custodito nella nostra Biblioteca, con ex libris del Prof. Grassetti, testimonia anni in cui la Comunità Europea – intesa come insieme di cittadini che vivevano, lavoravano, pagavano le tasse sul vasto territorio di un’Europa allora in costruzione e divenire – stava facendo i conti con le ripercussioni derivanti dall’emanazione di norme comunitarie che incidevano poi sulle discipline del lavoro a livello nazionale, in virtù dell’alto tasso di circolazione di persone e della loro emigrazione nei diversi Stati dell’Unione.

 

“La nozione di lavoratore con riferimento alla cittadinanza”, “I diritti sindacali dei lavoratori migranti”, “L’accesso all’impiego” di tali lavoratori entro i confini (liberi) dell’Europa sono solo alcuni dei capitoli che il volume affronta. Capitoli che oggi suonano carichi di echi più complessi e più cupi, sia perché il concetto di immigrazione e di “lavoratore migrante” è inevitabilmente e immediatamente associato alla tragedia umana dei migranti da Paesi extra-europei (al momento priva evidentemente di soluzioni e norme efficaci), sia perché anche all’interno dell’Europa insistono ampie forze disgregative, che riportano in qualche misura indietro nel tempo. La Brexit, alla quale seguirà forse quello che è stato ribattezzato Brexodus – una fuga epocale, quasi biblica, di persone, aziende, investimenti dall’Inghilterra – ci pone di fronte a interrogativi politici ma anche giuridici: come verrà normata la situazione dei molti “lavoratori migranti” ora in Inghilterra, tra cui tanti Italiani? È possibile che Theresa May non arrivi a un accordo finale con Bruxelles e che dunque la politica non sia in grado di attuare quanto deciso da un regolare referendum, democraticamente svolto? È forse possibile anche solo pensare di indire un nuovo referendum perché quello precedente ha dato un esito “scomodo”? Non è questo un pericoloso vulnus per la democrazia stessa? E di chi può essere la responsabilità di questa decisione?

L’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea è prevista per il 29 marzo prossimo. Non sappiamo se a queste domande si troverà una risposta, ma sarà certamente necessario un nuovo sforzo normativo e un grande senso di responsabilità per regolare un Diritto comunitario del lavoro che, dopo quella data, subirà profondi e imprevedibili cambiamenti.

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