Il dipendente non può rifiutarsi unilateralmente di ottemperare ad un ordine del datore, anche se lo ritiene illegittimo
A cura di Damiana Lesce, Alice Testa e Ilaria Pitingolo
La Cassazione pone dei limiti al potere del lavoratore di agire in “autotutela” e, quindi, di decidere unilateralmente di non ottemperare al potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro.
È questo il caso deciso recentemente dalla Suprema Corte con l’ordinanza del 3 ottobre 2018, n. 24118: il giudice del lavoro aveva annullato il licenziamento, con conseguente ordine al datore di lavoro di reintegrazione in servizio, di una dipendente a cui era stato contestato di essersi rifiutata di svolgere le mansioni assegnatele.
Tale rifiuto era motivato dal fatto che la dipendente riteneva che le nuove mansioni esulavano da quelli della qualifica di appartenenza quali desumibili dall’esame della declaratoria contrattuale.
La Corte ha cassato la sentenza, rimandandola, per una successiva disamina di merito, alla Corte di Appello, affermando i seguenti principi.
Anche nell’ambito del contratto di lavoro trova applicazione l’art. 1460 cod. civ. ai sensi del quale nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria (salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto). Tuttavia non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede.
Il lavoratore può legittimamente invocare l’art. 1460 cod. civ., rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell’altra parte o anche nel caso in cui l’inadempimento del datore di lavoro sia tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo o da esporlo a responsabilità penale connessa allo svolgimento delle nuove mansioni.
In applicazione del predetto principio, l’eventuale adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita può consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutarne aprioristicamente l’adempimento in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro impartito dall’imprenditore, ex artt. 2086 (“Direzione e gerachia nell’impresa”) e 2104 (“Diligenza del prestatore di lavoro”) cod.civ. da applicarsi alla stregua del principio sancito dall’art. 41 Cost.
L’illegittimo comportamento del datore di lavoro, consistente nell’assegnare il dipendente a mansioni inferiori a quelle corrispondenti alla sua qualifica, può, dunque, giustificare il rifiuto della prestazione lavorativa, purché tale reazione risulti proporzionata e conforme a buona fede, elementi questi – prosegue la Corte – che il giudice deve prendere in considerazione valutando complessivamente i comportamenti di entrambe le parti.
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